Varsavia.
Varsavia coperta di neve
e d’invisibili fiori
che dei biancori illimitati
della neve si nutrono
e risplendono
meravigliati.
Varsavia del ghetto,
della strage.
Varsavia mille volte rasa al suolo
e mille volte
come me
risorta.
Varsavia tua patria,
tuo cielo. Varsavia nei tuoi occhi
nel mio amore
come un velo.
Varsavia del tuo riso d‘argento
e di quell’intimo pianto
di cui più non mi curo
che quasi più non sento.
Varsavia dei passi che rimbombano
nel silenzio di spettri di una via laterale,
di una vita qualsiasi che passa
affaticata di tristezza
e di cui nessuno poi
saprà più nulla.
Varsavia ancora viva eppure
sotto un diluvio di tempo
che non cessa.
Varsavia che si allontana
come una valle in un’evanescenza
di nebbie senza meta,
vago labirinto per cui si smarrisce
il cuore,
mentre cerca senza posa quel che resta
di un suo perduto e splendido
dolore.
Varsavia, lo so,
oramai quasi soltanto un nome
che nel tenue sfumarsi nella memoria
si sfuma e s‘attenua
come il tuo viso
in una penombra di pergola in estate,
fissando un angolo oscuro
là dove vorrei ci fossero
i tuoi occhi.