LE ORIGINI DEL TANGO

storia-tango-argentino18.

In quel periodo fra l‘altro, guarda un pò la coincidenza, per mera curiosità ma anche per facilitare la mia iniziazione alle formule, ai riti e alla magia del tango, stavo per l‘appunto leggendo dei libri che riguardavano proprio le sue origini ‘ proprio le da sempre imperscrutabili, misteriose origini ‘ così che, mentre vagavo sbattuto a destra e a manca da quel desiderio inusitato e perciò sul momento del tutto indecifrabile, mi venne in mente una piuttosto geniale ovvietà, ovvero che una causa primaria dei travolgenti sentimenti per la fatata ballerina, a parte tutte le mie private circostanze astro–psico–socio–illogiche, era senz‘altro la mera esistenza nell‘universo mondo di questa danza, il tango: se io e la sconosciuta non ne fossimo stati entrambi affascinati e non avessimo voluto perciò iniziarci ai suoi delicati eppur facinorosi incanti non ci saremmo mai iscritti a quel corso, e dunque non avrei potuto mai confrontarla con un magico amore della mia adolescenza, e dunque non avremmo mai ballato insieme, così che lei non mi avrebbe mai toccato, abbracciato, seguito, etc. Dunque, all‘origine del mio piuttosto surreale invasamento per l‘apprendista stregona o milonguera che fosse vi era, fra l‘altro, proprio il tango in persona, persona le cui origini, esattamente come quelle delle mie inquietudini amorose, parevano a loro volta non solo del tutto o quasi del tutto sconosciute, ma anche ormai del tutto o quasi del tutto inconoscibili. Scoprii infatti – e anche con una certa sorpresa devo dire – che sul tema abbondano i miti tanto più oscuri quanto più affascinanti, le ipotesi colte e laboriose, le brillanti e ingegnose supposizioni – così come scarseggiano le comprovate, verificabili e laiche fonti storiche.
Quanto agli strumenti, si sussurra che il bandoleon (che sarebbe una sorta di fisarmonica senza tastiera) fosse uno strumento usato per seguire i cortei funerari e passato poi ad accompagnare i violini e le chitarre dei musicisti di strada dapprima nell‘allegria della milonga, poi nella lugubre e oscura sensualità del tango vero e proprio. Quanto alla musica si vagheggiano influssi più o meno sotterranei del fado e del valzer, si accenna a certa ritmica nera giunta più o meno incidentalmente dai porti di Cuba o da quelli del Brasile a quello di Buenos Aires – anche se non c‘è al mondo persona musicalmente ineducata e dotata di orecchio per quanto ruvido che non si renda conto degli abissi che separano il tango da qualsiasi altra musica popolare – sudamericana e non – non foss‘altro che per la spaesante impossibilità di separare gli strumenti e le parti ritmiche da quelle armoniche. Quanto alla tecnica di danza, con particolare riferimento alle modalità dell‘abbraccio, subito viene in mente il valzer (e questo è l‘unico punto su cui, almeno a livello personale, non nutro grossi dubbi), un influsso che con ogni evidenza si estende almeno alla coreografia più semplice, il quadrato basico, anche se c‘è da notare che le somiglianze si fermano qui, e paiono perciò tutto sommato del tutto episodiche e minimaliste, stante il fatto che il tango è una danza di improvvisazione e che la varietà come la complessità delle coreografie – pur basandosi come al solito su una base relativamente modesta (ricordo che le note musicali sono sette eppure…) – può diventare incredibile: oltre al fatto che nel valzer non si trovano le sacadas, i voleos, i planeos, gli ochos, le rastradas, gli enrosques, le colgadas, le paradas, etc. Giunti a questo punto, forse non sarebbe più neppure il caso di aggiungere che nessuno ha a disposizione la più discutibile delle fonti storiche o la più vaga delle ipotesi critiche che possa illuminarci quanto all‘identità di chi abbia creato questi passi con le relative variazioni coreografiche.

19.

Ma, come molti forse già sanno, c‘è da dire che il mito del tango non si alimenta tanto sulle sue misteriose origini o sulla pur indiscussa originalità della tecnica in sé e per sé, ma sulla sua neppur tanto sotterranea carica erotica, che viene di solito addebitata alle sue origini, non solo e non tanto misteriose, ma piuttosto, come si direbbe, “maledette”, o, come sottolinea Borges, nulla di meno che malavitose.
Il tango nacque infatti nella Buenos Aires della fine dell‘800, in connessione con l‘arrivo di un‘enorme massa di immigranti, che portò in poco tempo la città da circa duecentosettantamila a un milione e duecentocinquantamila abitanti, il settanta per cento dei quali maschi solitari, che, a parte la consueta e fedele mano destra, non avevano altro mezzo di soddisfare le loro passioni erotiche e di svagarsi che la frequentazione di bordelli di basso o bassissimo rango, locali bisunti e a volte anche un pó macabri, dove di solito si trovava, oltre che la scarna e prevedibile coreografia dell‘amore mercenario, anche quanto necessita all‘uomo per espandere i limiti di quell‘io che tanto e tanto oscuramente lo tormentano, ovvero i mezzi per ubriacarsi e l‘occasione di ballare. Fu così che le prime ballerine di tango della storia furono, a quanto pare, delle prostitute o, per chiamarle così, delle cameriere di dubbia moralità (non so perché la gente le chiami in questo modo: conosco personalmente donne inibitissime che, quanto alla quantità di acido e malumore che sono in grado di spargere per il mondo, fanno concorrenza al collaboratore di Saddam Hussein noto con il famigerato pseudonimo di “Alì il Chimico”), il che faceva sì che tanto gli atteggiamenti reciproci dei ballerini prima e durante la danza quanto i testi stessi dei tanghi fossero espliciti a volte ben oltre i limiti dell‘osceno, dato che servivano più che altro come preparazione a volte neppur tanto simbolica all‘atto sessuale mercenario e occasionale che sarebbe venuto di lì a poco. Tanto per dare un‘idea di ciò di cui stiamo parlando, nei pezzi che si collocano nell‘oscura aurora del tango troviamo titoli che suonano “El choclo” (in argentino “choclo” vuol dire “pannocchia”, ma è anche un nome volgare dell‘organo sessuale maschile) “El movimiento continuo” (che sarebbe quello del coito), “Dejalo morir adentro” (no comment), titoli che, come si dice, sono già tutto un programma, mentre invece occorre precisare che la non meno volgare “Siete pulgadas” allude con orgoglio sfrontato e maschilista a un organo sessuale di 17,2 cm (beh, in fondo in fine nulla di eccezionale: per alludere a quello di Rocco Siffredi, in proporzione, non basterebbero due tanghi). L‘ambiente dei bordelli era per di più frequentato in massa non solo da povera gente, ma anche e soprattutto da quelli che oggi come oggi si definiscono di solito dei teppisti o anche proprio da delinquenti matricolati, che però allora portavano i romantici nomi cui sopra si accennava: gauchos, compadritos, guapos. Personaggi disdegnosi, irascibili, provocatori e svelti di mano, dotati per di più di una memoria minuziosa e instancabilmente votata al servizio di rancori interminabili, che di solito terminavano nei celebri e celebrati duelli col machete o la navaja scintillanti, irreali e furibondi alla luce ebbra della luna. Borges sostiene senza mostrare incertezza alcuna che i gauchos non duellavano affatto per dei motivi estrinseci, ma per il puro e semplice gusto della sfida con l‘altro e con la morte (che è forse il vero Altro con cui ogni giorno ognuno nella vita si confronta): in ballo non c‘erano dei veri rancori, degli interessi materiali di alcun genere, ma, più che altro, la pura e vergine passione per la sfida, il nudo e incorrotto rancore del coltello. E la cosa pare tanto più credibile se pensiamo che un vecchio gaucho, confessando a Borges di essere andato più volte in galera, si giustificó dicendo che lui, uomo onorato e onestissimo, non ci era andato per motivi volgari, perché avesse rubato bestiame, o rapinato banche, o per altre consimili bassezze, ma solo per omicidio (sfide del genere avvenivano fra i samurai in quello che possiamo chiamare il Medioevo giapponese, come fra i nobili nel nostro: a noi oggi sembra impossibile, ma vi sono stati innumerevoli tempi e culture in cui la guerra e la morte erano un gioco quotidiano, tanto terrifico quanto del tutto fine a sé stesso).
Data la sua ambientazione originaria si capisce facilmente come il tango, anche quando fu sdoganato dall‘atmosfera borghese e festaiola di Parigi, diventando così una moda di dimensioni mondiali, non perse mai del tutto quell‘aura di inquietante e cieca sensualità che a tutt‘ora volente o nolente lo circonda. E che nella leggenda ci dovesse essere qualcosa di vero lo stavo sperimentando io stesso, in quel principio di insonnia che mi spingeva a chiudere il manuale di storia del tango verso le due di notte, a fumare e bere molto più del solito, a scoprirmi ad allucinare il volto di una sconosciuta nei momenti più importuni e impensabili della giornata.

TANGHI LONTANI DI ANONIMO FIORENTINO | ALL RIGHT RESERVED

SITO REALIZZATO DA PUNTOWEB AREZZO